Circolare n. 3/2021 Effetti della Brexit
Gentili Clienti,
desideriamo ricordarVi con la presente gli effetti del recesso del Regno Unito dall’Unione europea (c.d. “Brexit”).
Gli elementi essenziali dell’accordo sono rappresentati:
- dalla previsione di un periodo transitorio dall’1.2.2020 al 31.12.2020, durante il quale sono rimaste vigenti nei confronti del Regno Unito le disposizioni dell’Unione europea, come se il predetto Stato fosse ancora uno Stato membro;
- dall’uscita effettiva del Regno Unito dal territorio doganale e fiscale dell’Unione europea, a decorrere dall’1.1.2021.
Il 24.12.2020 l’Unione europea e il Regno Unito hanno poi stipulato un Accordo commerciale e di cooperazione (EU-UK Trade and Cooperation Agreement), che regola molte materie aventi ad oggetto gli scambi di beni, gli investimenti, la prestazione di servizi e la mobilità delle persone, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 31.12.2020.
Di seguito si analizzano i principali effetti in ambito fiscale (IVA e imposte dirette) dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, alla luce del suddetto Accordo del 24.12.2020.
- IVA E TRIBUTI DOGANALI
A decorrere dall’1.1.2021, il diritto dell’Unione europea ha cessato di avere applicazione nei rapporti con il Regno Unito, ivi inclusa la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto.
Le disposizioni nazionali in materia di IVA, nonché la predetta direttiva, stabiliscono regimi IVA differenti per le operazioni transfrontaliere aventi ad oggetto beni, a seconda che queste avvengano all’interno dell’Unione europea ovvero oltrepassando i confini dell’Unione europea.
Il fatto che il Regno Unito sia divenuto, a tutti gli effetti, un “Paese terzo” comporta, tra l’altro, che abbiano assunto nuovamente rilevanza le barriere doganali nei rapporti con tale Paese.
Nella tabella seguente è possibile riassumere le operazioni di cessioni di beni, distinguendo se il soggetto cedente o il cessionario è soggetto passivo in Italia o soggetto passivo nel Regno Unito, oltre che se gli stessi sono soggetti passivi IVA o “privati”:
Cedente | Cessionario | Conseguenze |
Soggetto passivo in Italia | Soggetto passivo nel Regno Unito | L’operazione non è più qualificabile come cessione intracomunitaria di beni, non imponibile ai fini IVA in Italia ai sensi dell’art. 41 co. 1 lett. a) del DL 331/93, bensì come cessione all’esportazione, non imponibile ai fini IVA:
ai sensi dell’art. 8 co. 1 lett. a) del DPR 633/72, qualora il trasporto e l’esportazione dei beni sia effettuato dal cedente italiano (o da terzi per suo conto); ai sensi dell’art. 8 co. 1 lett. b) del DPR 633/72, qualora il trasporto e l’esportazione dei beni sia effettuato dal cessionario inglese (o da terzi per suo conto) entro 90 giorni dalla consegna degli stessi nel territorio nazionale. |
Soggetto passivo in Italia | “Privato” nel Regno Unito | L’operazione non è più qualificabile come vendita “a distanza” nel territorio dell’Unione europea (con assoggettamento ad IVA in Italia al di sotto di una determinata soglia e salva la possibilità di optare), qualificandosi invece come cessione all’esportazione, non imponibile ai fini IVA ai sensi dell’art. 8 co. 1 lett. a) del DPR 633/72, in quanto il trasporto e l’esportazione dei beni è effettuato dal cedente italiano (o da terzi per suo conto). |
Soggetto passivo nel Regno Unito | Soggetto passivo in Italia | L’operazione non è più qualificabile come acquisto intracomunitario di beni di cui all’art. 38 co. 1 del DL 331/93, soggetto ad IVA in Italia mediante inversione contabile, bensì assume rilievo come importazione di beni ai sensi dell’art. 67 co. 1 del DPR 633/72, avente ad oggetto l’introduzione nel territorio dello Stato di beni provenienti da uno Stato non compreso nel territorio doganale dell’Unione europea. |
Soggetto passivo nel Regno Unito | “Privato” in Italia | L’operazione non è più qualificabile come vendita “a distanza” nel territorio dell’Unione europea (con assoggettamento ad IVA nel Regno Unito al di sotto di una determinata soglia e salva la possibilità di opzione del cedente), qualificandosi invece come importazione, soggetta ad IVA in Italia, ai sensi dell’art. 67 del DPR 633/72, essendo introdotti nel territorio dello Stato beni provenienti da uno Stato non compreso nel territorio doganale dell’Unione europea. |
Per quanto riguarda le prestazioni di servizi generici di cui all’art. 7-ter del DPR 633/72, variano gli obblighi formali:
- le prestazioni di servizi “generiche” rese a committenti soggetti passivi d’imposta sono territorialmente rilevanti in Italia se è ivi stabilito il committente stesso (art. 7-ter 1 lett. a) del DPR 633/72);
- le prestazioni di servizi “generiche” rese a committenti non soggetti passivi d’imposta sono territorialmente rilevanti in Italia se è ivi stabilito il prestatore (art. 7-ter 1 lett. b) del DPR 633/72).
Per le prestazioni di servizi ricevute, invece, il soggetto passivo italiano sarà tenuto ad applicare il meccanismo del reverse charge emettendo autofattura e non più integrando la fattura ricevuta dal prestatore inglese.
Aspetti documentali e comunicativi
Gli effetti della Brexit si producono anche in relazione agli obblighi identificativi, documentali e comunicativi:
- non è più necessaria l’iscrizione al VIES per le operazioni con controparte inglese, mentre per espletare le formalità doganali è necessario acquisire il codice EORI;
- per le prestazioni di servizi “generiche”, la prova dello status di soggetto passivo IVA del committente inglese dovrà essere fornita con mezzi diversi dalla verifica nel database VIES;
- la prova dell’invio dei beni nel Regno Unito, per l’applicazione del regime di non imponibilità, è data dalla documentazione doganale;
- le cessioni di beni e le prestazioni di servizi tra soggetti passivi d’imposta non dovranno più essere riportate negli elenchi riepilogativi INTRASTAT;
- permane l’obbligo di presentazione del c.d. “Esterometro” anche se mutano alcune codifiche utilizzate nell’inserimento.
Le operazioni doganali
L’Agenzia delle Dogane e Monopoli ha predisposto delle linee guida per l’export nel Regno Unito, proponendo procedure semplificate per l’appuramento dei regimi doganali.
Con la circolare 49/D/2020 del 30 dicembre 2020, infatti, vengono predisposti nuovi modelli per l’esecuzione delle pratiche export presso le imprese cedenti merci con destinazione Regno Unito e chiarite alcune procedure.
Le merci con destinazione Regno Unito saranno vincolate al semplice regime di esportazione, per cui un documento di accompagnamento doganale sarà emesso nel luogo di export ed il movimento si appurerà presso la dogana di uscita, che ad esempio può essere un aeroporto nazionale, ovvero un porto ubicato nell’Ue, ovvero il tunnel della Manica per le merci via terra. In queste ipotesi, una volta giunte in dogana nel Regno Unito, le merci sono sdoganate o vincolate ad un transito interno per giungere a destino, dunque con necessità di un nuovo documento.
L’accordo commerciale tra Regno Unito e UE ha aperto anche a scambi di merci più semplici, in quanto non sono previsti dazi nel caso in cui i beni scambiati siano doganalmente originari di una delle due parti. Il problema sarà quindi quello di dimostrare che la merce oggetto dell’operazione doganale abbia origine preferenziale in uno dei due territori oggetto dell’accordo stesso.
L’origine preferenziale delle merci è affidata ad una specifica dichiarazione da parte dell’esportatore o a una dichiarazione di conoscenza rilasciata direttamente dall’importatore.
Per quanto riguarda l’esportazione, il fornitore dovrà dichiarare l’origine preferenziale delle merci inserendo sulla fattura, ovvero su qualunque altro documento commerciale che accompagna la merce, una attestazione che recherà il numero di registrazione dell’esportatore al portale Rex, attivo dal 25 gennaio 2021, e al quale gli operatori dovranno registrarsi per poter beneficiare del sistema di dazi azzerati.
Per rendere la dichiarazione di origine, gli esportatori dovranno comunque disporre di documenti che dimostrino l’effettiva origine delle merci oggetto di esportazione, dipendenti da diversi fattori collegati alle modalità di produzione o di acquisto delle merci, e dandone perfetta evidenza.
Rapporti con l’Irlanda del Nord
L’Accordo di recesso garantisce una sorta di continuità territoriale “unionale” all’Irlanda del Nord, in considerazione della quale tale territorio:
- resta soggetto alla normativa UE per le cessioni di beni;
- è considerato Paese terzo per le prestazioni di servizi.
Per quanto riguarda l’identificazione dei soggetti passivi nell’Irlanda del Nord, è stata emanata la direttiva UE 20.11.2020 n. 1756.
La direttiva prevede che i soggetti passivi che effettuano nell’Irlanda del Nord cessioni di beni (comprese le cosiddette cessioni intracomunitarie) o acquisti intracomunitari di beni (anche da parte di enti non soggetti passivi) siano identificati, in conformità alla normativa IVA, con il codice “XI”, diverso da quello del Regno Unito (che inizia con “GB”).
- IMPOSTE SUI REDDITI
Nei rapporti con il Regno Unito, il diritto dell’Unione europea continua ad applicarsi, a norma dell’art. 127 dell’Accordo di recesso, solo fino al termine del periodo transitorio anche ai fini delle imposte sui redditi.
Una eccezione è prevista nell’art. 100 dell’Accordo, che fa salva l’applicazione della direttiva 2010/24/UE sulla riscossione dei crediti tributari per ulteriori 5 anni dopo la fine del periodo di transizione.
Vengono meno, nei confronti del Regno Unito, gli effetti di alcune norme di recepimento di direttive comunitarie, quali quella del regime delle operazioni straordinarie intracomunitarie che, a certe condizioni accorda un regime di neutralità, quella di esenzione da ritenuta sui dividendi, sulle royalties e sugli interessi pagati alle società del Gruppo del Regno Unito.
Restano in vigore, invece, nei rapporti con il Regno Unito, le procedure di scambio automatico dei dati dei conti finanziari (conti correnti e di deposito, conti titoli, azioni, obbligazioni, ecc.) dei non residenti;
A seguito del recesso del Regno Unito dall’Unione europea, vengono meno numerose disposizioni che regolano i rapporti con gli Stati dell’Unione Europea, salvo che non sopravvengano interpretazioni estensive delle clausole dell’Accordo.
Ad esempio, in tema di oneri deducibili e oneri detraibili, non sarà più possibile la deducibilità dal reddito complessivo dei contributi a fondi pensione istituiti nel Regno Unito (art. 10 co. 1 lett. e-bis) del TUIR), né la detrazione d’imposta per i canoni di locazione degli studenti di Università con sede nel Regno Unito (art. 15 co. 1 lett. i-sexies) del TUIR).
Inoltre, vengono meno la possibilità, per i residenti italiani titolari di immobili nel Regno Unito, di assolvere l’IVIE sul valore catastale (art. 19 co. 15 del DL 201/2011); così come l’esenzione dall’imposta italiana sulle successioni dei titoli di Stato emessi dal Regno Unito (art. 12 co. 1 lett. h) e i) del D. Lgs. 346/90).
Continuano ad esplicare efficacia nei rapporti con il Regno Unito, invece, le norme fiscali che fanno riferimento ai rapporti con Stati appartenenti alla white list, o che garantiscono un adeguato scambio di informazioni.
Tra queste si menzionano, a titolo esemplificativo:
- le diverse disposizioni che accordano ai residenti di Stati appartenenti alla white list (Regno Unito, quindi, compreso) l’esenzione dalle imposte italiane sulle plusvalenze su partecipazioni qualificate, sugli interessi delle obbligazioni dei “grandi emittenti”, sui proventi degli OICR italiani, ecc.;
- la possibilità di optare per l’imposizione sostitutiva del 7% per i residenti nel Regno Unito titolari di pensioni estere che trasferiscono la residenza in Italia;
- la possibilità, per le imprese, di dedurre le perdite su crediti verso clienti residenti nel Regno Unito assoggettati a procedure concorsuali equivalenti a quelle previste dal diritto italiano.